ASSOCIAZIONE CULTURALE "VILLALAGO IN FLATURNO"
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2008 - Rinvenimento ed identificazione dell'antica statua devozionale del "Picozzo"




IlSantonascostoTra le varie manifestazioni della religiosità popolare villalaghese, oggi molto semplificata rispetto a un tempo e dominata da S. Domenico abate e dalla Madonna Addolorata, vi era in passato anche quello che ha tutta l’aria di essere un culto “secondario” rivolto a un personaggio detto in dialetto “le Pecuozze”, ovvero “il Picozzo”.
Tradizionalmente il picozzo è il frate laico dell’Ordine dei cappuccini e dei minori, ma anche il chierichetto, il terziario, il “torzone” o “torsone”. Non avendo egli studiato (sebbene consacratosi a Dio) a lui competono tutti i più umili e ordinari servizi giornalieri, richiesti nell’ambito delle attività conventuali. Nel patrimonio leggendario villalaghese il Picozzo è soprattutto il frate laico che nascose certi pesci inviati in dono a S. Domenico abate, il quale volle poi punire la sua ingordigia trasformandoli in serpenti.
Di solito l’origine del termine si fa risalire alla madre di S. Francesco d’Assisi, detta Pica o Picozza. Giovanni Pansa nel 1885 propose un’ipotesi (affidandosi al parere di Antonio De Nino), secondo la quale i frati laici prendessero nome proprio in ossequio della madre del fondatore dell’Ordine. Più o meno delle stesso avviso fu più tardi anche Antonio D’Antonio (1976) che leggeva, però, in picozzo quasi una qualifica di “figlio ideale” di Madonna Pica, ma anche membro a pieno diritto della Famiglia francescana.

Col passare del tempo la figura del Picozzo è diventata perlopiù sinonimo dei bagordi cui i villalaghesi si danno il 23 agosto presso il santuario di S. Domenico abate, il giorno dopo la festa patronale. Né è chiaro, comunque, perché si debba commemorare l’ingordo frate! La cosa sembrava finita lì, davanti al solito culto minore ormai annebbiato dalla modernità. Finché quest’anno, per puro caso, ci siamo imbattuti in una famiglia di Villalago (che non citiamo, per espressa richiesta, ma ringraziamo per la cortese disponibilità) in possesso di un simulacro rivelatosi quello del Picozzo. Il fatto davvero singolare è che gli attuali detentori non solo ignoravano le vicende di questo personaggio e del relativo culto, ma pensavano che la statua fosse di S. Domenico abate. Alla loro sorpresa nell’apprendere di possedere un “pezzo unico”, si è aggiunta la nostra incredulità nel riscoprire un frammento della cultura villalaghese ritenuto perso.

La statua è in legno, alta circa 45 cm e larga al massimo 15 cm, un po’ tarlata e con poche crepe. Due solchi ai lati della base suggeriscono una loro funzione per agevolare l’inserimento del manufatto in qualche supporto per uso processionale o di semplice sostegno. E’ priva di entrambi gli avambracci che tuttavia devono esserci stati, come dimostrano i due buchi entro i quali ancora resistono residui dei perni in legno che permettevano di innestarli al resto del corpo.

Rappresenta un frate francescano, almeno dall’abito e dal colore marrone della vernice che oggi lo ricopre. Ha figura slanciata, leggermente ricurva all’indietro, stretta in vita da un cordone chiaro da cui sul fianco destro ripende un tratto terminato da una croce. Il volto è regolare, contornato da una barba ben disegnata; manca l’aureola e il capo è tonsurato, cosa strana per un frate laico. Sulle spalle vi è un’ampia mantella allacciata sul davanti, con piccolo cappuccio sul retro.

Sull’identità e le vicissitudini di questa statua abbiamo raccolto varie testimonianze orali, ma è una in particolare che ci ha permesso di attribuirla al Picozzo. Rilasciataci da un’anziana donna di Villalago di 94 anni che l’ha riconosciuta subito, emozionandosi come quando ci si rincontra con qualcuno dopo molti anni. Alla sua vista ha chiesto una grazia per tutti, raccomandandosi poi ai proprietari di riservargli un posto d’onore e omaggiandola di una coroncina del Rosario. La denominazione che ne ha dato è “Pecuozze de Sante Demineche”, l’unica da lei conosciuta. Quest’ultimo aspetto è interessante perché nel corso della nostra indagine sono riemerse almeno altre due forme: “Pecuozze de Sante Dunate” (ancora tutta studiare) e “de Sante Liunarde” (di cui si dirà più avanti).

Grazie a lei abbiamo scoperto che negli anni ’20 del Novecento la statua era più o meno come oggi, esposta nella chiesa dell’eremo di S. Domenico in un punto lungo la scalinata conducente alla grotta del Santo, dove rimase fino a quando non fecero i lavori per la costruzione della diga (1920-1928). Poi essa sparì, supponiamo asportata per salvaguardarla, scelta che sul lungo periodo si è rivelata infelice perché, come vedremo, ha generato una certa confusione, non del tutto diradata.

Nel 1976 D’Antonio fornì la descrizione di un oggetto coerente nei tratti essenziali con quello da noi riscoperto, almeno nel suo aspetto attuale: “(...) una bellissima statua in legno di buona fattura, monca però di avambracci e mani”. Peccato, però, che egli la attribuisse alla statua di un certo “Pecuozze de Sante Liunarde”, a quell’epoca di proprietà di Orlando Iafolla di Villalago. Questa statua, così minimamente connotata, somiglia a quella da noi ritrovata, ma forse D’Antonio citava vecchi dati perché gli attuali detentori affermano di possederla da almeno una cinquantina d’anni, quindi nel 1976 essa non poteva trovarsi presso Orlando.

Apprendiamo inoltre da un suo parente diretto che Orlando avrebbe già avuto fino alla fine degli anni ’50 un’altra statua lignea, pure raffigurante un frate, munita di mani, alta circa un metro e che egli chiamava in effetti “S. Leonardo”, poi venduta a un rigattiere. L’impressione è che si stia parlando di due oggetti diversi di cui il primo forse corrispondente a quello da noi ritrovato e che per una qualche ragione D’Antonio assimilò al secondo, oggi non più disponibile perché alienato. La questione, come si vede, è molto ingarbugliata.

Comunque sia, proprio partendo dalla denominazione “Pecuozze de Sante Liunarde” D’Antonio ricostruì tutta una possibile (e laboriosa!) ipotesi. Lo scopo era di spiegare l’origine del culto locale per il Picozzo ricollegandolo a quello per il francescano S. Leonardo da Porto Maurizio (1676-1751), forse introdotto in paese nel ‘700 da villalaghesi suoi confratelli.

A questo punto abbiamo anche degli indizi di tipo cultuale. Secondo D’Antonio, infatti, era proprio al “Pecuozze de Sante Liunarde” di Orlando Iafolla che erano tributate preghiere, essendo oggetto di devozione in associazione al culto di S. Domenico. Vi si ricorreva in casi di estrema necessità per ottenere grazie di vario genere, anche se sembra più legato al mondo agrario, invocato specie in tempo di siccità. Veniva portato in processione, ma senza abusarne, altrimenti la pena erano tremendi castighi.
Resta da discutere un ultimo punto. Nel 2005 la chiesa di S. Domenico abate ci aveva regalato una bella e antica statua in terracotta (pare almeno cinquecentesca!), rinvenuta in una nicchia murata a destra dell’altare. A quell’epoca ci si pose da subito il problema se fosse un S. Domenico abate (come probabilmente è) o il Picozzo. Anche D’Antonio aveva già riferito nel 1976 della presenza di una statua nel santuario, esattamente nella stessa posizione di quella del 2005, simulacro che a detta dei vecchi era attribuito al Picozzo ma che lui riteneva potesse trattarsi di S. Leonardo (!).Alla luce dei recenti sviluppi ci sentiamo di escludere che la statua del 2005 sia il Picozzo, né è quella di S. Leonardo da Porto Maurizio (per evidenti ragioni cronologiche!).

Bibliografia essenziale

D’Antonio A., Villalago, Pescara, 1976, pp. 195, 208 e 223-224.
Grossi R., Un’antica statua modellata in creta. E’ stata rinvenuta in una nicchia murata all’eremo di San Domenico, in «Gazzettino della Valle del Sagittario», n. 2 (2005), p. 21.
Pansa G., Saggio di uno studio sul dialetto abruzzese, Lanciano, 1885, p. 35.

Articolo dal titolo "Il Picozzo ritrovato: un culto villalaghese minore", pubblicato sul Gazzettino della Valle del Sagittario, anno 2008 - n.3 (autunno)

Autori: Angelo Caranfa, Maria Rosaria Gatta e Enrico Domenico Grossi

Il presidente dell'Associazione
Maria Rosaria Gatta

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