SAN DOMENICO ABATE
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I miracoli di San Domenico Abate

degli autori


Le visioni ultraterrene di Prato Cardoso di Villalago


Di seguito, riportiamo i testi delle due agiografie, per la parte relativa al racconto delle visioni ultraterrene che il Santo ebbe a Prato Cardoso. I due frammenti sono tratti dalle traduzioni delle agiografie, operate a cura dei monaci del monastero di San Domenico a Sora.
VITA DI GIOVANNI

Appunto una notte, prevenendo le regolari veglie dei notturni, mentre intento alla recita dei salmi, supplicava Dio onnipotente, vide una colonna immensa, che scendeva dal cielo, simile, nel colore, all'arcobaleno che appare nel tempo della pioggia: sebbene la parte superiore di essa sembrava toccare il cielo, la parte più bassa, tuttavia, ricadeva fin sul luogo in cui il servo di Dio onnipotente si trovava. Allora lieto di tanta celestiale visione, prostrato sulla faccia, incominciò con più devozione ad innalzare lodi a Dio, dicendo: "Quale Dio è grande come il nostro Dio? Tu sei il Dio che solo opera meraviglie".
Nel frattempo, dileguatesi dalla terra le tenebre notturne, rifulso il sole, come al solito, l'uomo di Dio, avendo chiamato il monaco Giovanni, del quale si è fatta menzione sopra, gli riferì, con tutto candore, ciò che, per grazia divina, aveva contemplato.
Un'altra volta, mentre si trovava seduto nella cella dell'eremo, immerso più del solito nella meditazione delle realtà celesti, all'improvviso, guardandosi intorno, si rese conto che una luce folgorante irraggiava mirabilmente dal cielo; vide, inoltre, una luce straordinaria, come abbiamo detto, c'erano tre colonne di fuoco della medesima natura, sopra la cui sommità, egli, in estasi, elevato al cielo al di sopra delle nubi e, avvolto dalla luce di Dio, osservò, in modo mirabile e con grande stupore, l'universo intero.
Dopo un po' di tempo, inoltre, ritornato in se stesso, per un attimo vide con meraviglia, nel luogo in cui si trovava, un raggio del medesimo splendore che aveva osservato sopra. Glorioso è Dio nei suoi santi e mirabile nella sua santità egli che opera prodigi.

VITA DI ALBERICO

In quei giorni, Domenico rivelò di aver avuto una visione che non va passata sotto silenzio. Una notte, infatti, mentre innalzava preghiere con gli occhi rivolti al cielo, vide una colonna, molto simile, per colore, all'arcobaleno, congiungere dalla parte più alta il cielo e nella parte più bassa la cella in cui lui abitava. Al servo di Dio sembrò opportuno non dover nascondere questa visione ai confratelli più intimi per non essere il solo a rendere grazie a Dio per un così grande dono. Così pure, un'altra notte, mentre meditava in cella sui divini misteri, vide irradiarsi subitamente una luce folgorante, nella quale distinse tre colonne uguali per splendore e pari per altezza, allineate l'una accanto all'altra. Mentre le guardava ammirato e stupefatto, percepì di essere stato innalzato alla loro sommità, sulle nubi e, incredibile a dirsi, contemplò con un colpo d'occhio tutto l'universo. A Domenico, tornato in se stesso, risplendette per un po' di tempo ancora un bagliore di quella luce nel luogo in cui si trovava.

Il discorso nella chiesa di S. Maria di Cannavinnano a Trisulti


E' riportato il discorso che S. Domenico fece nella chiesa di S. Maria di Cannavinnano ed è il testamento spirituale ai suoi fedeli. La traduzione è stata operata dai monaci del Monastero di S. Domenico a Sora.

""Fratelli e figli, questo vi comando: di amarvi reciprocamente. Per questo il Signore nel Vangelo dice: "In questo tutti vi riconosceranno che siete miei discepoli, se vi amerete l'un l'altro". La dimostrazione dell'amore e l'adempimento dell'opera. L'amore, in verità, è il segno sicuro con cui i buoni si distinguono dai cattivi, i figli di Dio dai figli del diavolo. Tutto ciò, infatti, che di buono si ha senza l'amore, non giova a nulla. Per questo l'apostolo afferma: "Se darò tutti i miei beni ai poveri e se consegnerò il mio corpo per essere bruciato, ma non ho la carità e la dilezione, non mi giova a nulla". Se invece avrete la carità, compirete la legge, perché pienezza della legge e la carità. Per poter avere la carità e l'amore fraterno, allontanate da voi l'invidia: dove, infatti, c'è l'invidia, là non vi può essere amore fraterno. Questa verità è manifesta anche nei due figli di Adamo, Caino ed Abele. Caino poiché nutriva invidia nei riguardi del fratello, sparse il suo sangue. Voi, dunque, amate i vostri fratelli. Colui che non ama rimane nella morte. Per questo S. Giovanni afferma: "Chiunque odia il proprio fratello è omicida. E voi sapete che nessun omicida ha in se stesso la vita eterna". Con queste affermazioni il Signor nostro Gesù Cristo ci insegna in che modo dobbiamo riconoscere gli alberi buoni e quelli cattivi: ogni albero, infatti, si riconosce dal suo frutto. Sappiamo, dunque, che Caino fu un albero cattivo perché uccise suo fratello. Ma gli alberi buoni sono i fedeli che, piantati nella vigna di Dio, cioè nella Chiesa, sono riconosciuti dai loro frutti, cioè dalle opere buone. Alberi di questo genere sono stati gli apostoli, , i cui frutti vengono lodati dal Signore quando afferma: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga. Un uomo piantò anche un albero di fico nella sua vigna e dopo che per tre anni era andato a raccogliere da esso il frutto e non ve ne aveva trovato, ordinò al vignaiolo di tagliarlo". Si guardi, dunque, ciascuno di voi, o carissimi, dal pericolo di dover sentire una simile condanna; stia attento a non essere reciso dalla vigna di Dio.
In verità, per tutti questi anni, egli ha aspettato che desse il frutto: e il nostro creatore ha atteso nell'adolescenza, ha atteso nella giovinezza, ha atteso nella vecchiaia, di nuovo ha atteso noi che eravamo inclinati al male, ha atteso noi mentre operavamo il male, ha atteso noi per lungo tempo mentre perseveravamo nel male: che cosa chiediamo di più? che cosa aspettiamo di più? perché tardiamo più a lungo? Senza dubbio i nostri anni sono alla fine, è alla fine la durata della nostra vita. Questa è l'ultima ora. Se oggi, però, ci convertiamo, meriteremo, sebbene indegni, il perdono. In qualunque ora, infatti, il peccatore si convertirà al Signore, avrà la vita e non perirà; il giusto, invero, in qualunque giorno si allontanerà dalla giustizia e si rivolgerà a compiere il male, morirà nell'iniquità operata. Dai frutti, dunque, li riconoscerete. Come se dicesse: "Avete il bene dell'intelletto perché considerando i frutti, cioè le opere dei cattivi, vi separiate da essi, per non essere travolti con loro nell'eterno supplizio". Adoperatevi, dunque, fratelli carissimi, di essere alberi buoni; sforzatevi di produrre buoni frutti, cioè opere capaci di suscitare la clemenza di Dio, quali sono i sacrifici, i digiuni, le preghiere, le elemosine ed altre simili a queste; e ciò fatelo non per ottenere la stima del popolo o la lode degli uomini, ma, come è detto nel vangelo, la tua sinistra non sappia quello che fa la tua destra e in questo modo potrete godere pienamente del gaudio e della beatitudine celesti. Inoltre da parte di Dio e di san Bartolomeo, di cui io sono servo, vi supplico e vi esorto ad amare in ogni modo la sua chiesa che nel suo nome è stata edificata e consacrata e a temere di arrecarle danno, perché le preghiere che io incessantemente ho rivolto al Figlio di Dio, al Signore nostro Gesù Cristo affinché quel brutale ed esiziale genere di male (la peste) che faceva morire gli uomini della nostra terra perché non continuasse più ad uccidere, sono state esaudite per i meriti e le intercessioni di san Bartolomeo. D'ora in avanti è necessario che io mi prenda cura della chiesa della santa Madre di Dio e Vergine Maria che mi è stata affidata e legalmente consegnata da Pietro di Rainerio di Sora"".

I miracoli


Molto ricca è la raccolta dei miracoli operati dal Santo, in vita e dopo la morte. Sono contenuti nelle due agiografie e nei Miracula, nell'Analecta Bollandiana, insieme alla Vita di Giovanni. La traduzione dal latino all'italiano di quest'ultima raccolta è in corso d'opera. Nel presente testo, inseriamo un gruppo significativo di episodi che, in maniera completa, rende la Potenza di Dio, per mano di San Domenico.
I testi sono stati tratti dagli autori indicati, oppure sono stati rielaborati.

Il lupo di Cocullo
tratto dal libro di De Benedetti - Quaglia (cit.13)


Dopo essere stato per più anni nell'eremitaggio di Prato Cardoso, presso Villalago, S. Domenico si partì da quel luogo e s'incamminò verso il territorio di Cocullo, terra soggetta alla diocesi di Valva e Sulmona. Ora, avvenne che mentre si appressava a quel paese, vide da lontano della gente affannata, che correva gridando dietro ad un lupo, mentre una povera donna, sorretta da altre piangeva disperatamente strappandosi i capelli. Che cosa era accaduto? Quella donna, lavorando nei campi, aveva posato su un solco il suo bambino, ma allontanatasi un tratto da lui, un lupo sbucato dalla vicina selva, glielo aveva azzannato e tenendolo in bocca, s'era messo a correre verso la tana. Alle grida della madre molti uomini cominciarono a rincorrere la belva, la quale però raddoppiava la sua corsa; alla vista di quella scena pietosa e di più intenerito dai pianti di quella povera madre, S. Domenico alzò gli occhi al cielo e, dopo una breve preghiera, chiamò a voce alta il lupo, comandandogli di ritornare indietro. Con stupore di tutti, a quel comando, la belva si fermo di correre e, rifacendo la strada percorsa, si diresse umilmente verso il Santo, ai piedi del quale depose sano e salvo il bambino, che fu subito restituito alla madre.

Le fave fiorite
tratto dal libro di De Benedetti - Quaglia (cit.13)


Dopo la fondazione del monastero di S. Pietro del Lago nell'Abruzzo, S. Domenico si ritirò a vivere in una caverna del monte Argoneta, ove ebbe singolari visioni da parte di Dio e fece grandi penitenze.
Dopo sei anni di dimora in quel luogo, perseguitato da alcuni uomini malvagi, fu costretto a fuggire ed a trasferirsi lontano da quel territorio. A cavallo ad una mula, che apparteneva al monastero da lui fondato, S. Domenico pregando Dio per i suoi persecutori, si partì un mattino dal suo eremitaggio, con l'intenzione di trovare un'altra solitudine montana, ove rimanere e vivere in pace. Ora, accadde che, mentre attraversava un bosco di platani, la sua mula per lo stretto sentiero, ogni tanto incespicava, ritardando così, la fuga e ravvicinando la distanza che separava il Santo dagli inseguitori. In procinto di essere presto raggiunto, S. Domenico alzò a Dio una ardente preghiera, perché lo scampasse delle mani dei suoi nemici. Ecco, allora, un orso uscire dalla tana e insidiare il gruppo di quei forsennati, che furono costretti a fermarsi, per difendersi dagli attacchi della belva. Intanto, S. Domenico, profittando dell'indugio di quelli, affrettò il cammino. Giunto fuori del bosco si trovò davanti ad un vasto campo, dove un contadino stava seminando delle fave. Un rozzo casolare, fatto di frasche e fango, sorgeva poco lontano. Pensando di potersi nascondere in esso, il Santo disse a quell'uomo: -Se tra poco giungeranno qui degli uomini armati e ti domanderanno di me, rispondi loro di avermi visto mentre seminavi le fave.
-Va bene! - rispose il contadino, e S. Domenico si rifugiò con la mula nel casolare. Dopo un poco ecco subito venire dal bosco un gruppo di scalmanati con le spade ancona insanguinate della belva, che avevano dovuto uccidere, per poter continuare il loro cammino.
-E' forse passato di qui un monaco con una mula? - domandarono subito al contadino che lavorava.
-Si - rispose questi - quando è passato io ero appunto a seminare lì le fave - e volgendosi, accennò loro la parte del campo già seminato. A quel cenno, gli uomini si voltarono a guardare di là e, oh meraviglia! Videro le fave, allora allora seminate, nate, cresciute e tutte fiorite. Anche il contadino a quel prodigio, resto a bocca aperta e pieno di stupore. Poi, riavutosi disse:
-Oh malvagi, chi andate voi perseguitando? Non vedete che egli è un santo di Dio? Ritornate, dunque, indietro e lasciate in pace un uomo che il cielo protegge così!
Confusi allo spettacolo di quelle fave fiorite e, per di più, rimproverati dal contadino, quegli uomini ubbidirono e, tornando al loro paese, cessarono di molestare S. Domenico.

La farina moltiplicata
tratto dal libro di De Benedetti - Quaglia (cit.13)


Una volta, mentre San Domenico attraversava il territorio di Cocullo per recarsi nel Lazio, al monastero di Trisulti, entrò per riposarsi in un mulino, dopo aver legata la sua mula ad una albero, presso la casa. Mentre tergeva il sudore che scendeva abbondante dalle sue guance emaciate dalle penitenze, entrò nel mulino una povera donna, recante un sacchetto di grano da macinare. Pensando alla sua mula, San Domenico ad un tratto si rivolse e disse alla donna:
-Buona donna, potresti darmi un pugno di grano per la mia mula affamata e stanca?
Benchè fosse tanto povera e non avesse altro che quel sacchetto di grano per sé e la sua famigliola, la donna volle accontentare il Santo e, con un dolce sorriso, prese dal sacchetto un pugno di grano ed uscì per darlo alla mula. Poi, rientrò e gettò sulla macina del mulino tutto il grano che aveva ancora nel sacchetto. Appena la macchina cominciò a girare, qual fu la sua meraviglia nel vedere uscire sotto la ruota farina e farina in abbondanza tale, che due grossi sacchi potevano appena contenerla. Fuori di sé dalla gioia e dallo stupore, la donna riguardò, con commossa venerazione il Santo, e stava per gettarsi ai suoi piedi, per ringraziarlo, quando San Domenico la fermò e le disse:
-Stai tranquilla, figliuola! Le opere buone vengono sempre premiate da Dio. La carità ha moltiplicato il tuo grano e la tua farina. Rendi grazie al Signore e conserva il tuo animo buono e generoso verso tutti i poveri ed indigenti. Con queste parole, la benedisse e, slegata la mula, riprese il cammino.

Il ferro della mula
tratto dal libro di De Benedetti - Quaglia (cit.13)


Un giorno S. Domenico, mentre viaggiava, si accorse che la sua mula, chiamata Giulia, zoppicava. Era quasi alle porte di Cocullo. Disceso di sella, vide che la bestia, lungo il cammino, aveva perduto il ferro. Perché non si sconciasse di più, entro nella bottega di un maniscalco e lo pregò che, per amore di Dio, rimettesse il ferro alla mula. L'artigiano, un uomo rude e scontroso, deposto il lavoro che aveva tra le mani, preparò subito il ferro ed in poco tempo inchiodò alla zampa dell'animale, ed in poco tempo lo inchiodò alla zampa dell'animale. -Eccoti servito! - disse quand'ebbe finito.
-Dio te ne renda merito! - gli rispose il Santo, preparandosi ad uscire. -Prima di andartene, pagami quello che mi devi. - gli disse il maniscalco.
-Pagarti! - preplicò San Domenico - ma io ti ho pregato di farmi questo per amor di Dio.-
-Per amore di Dio! L'amore di Dio non riempie lo stomaco; dammi il denaro e presto.-
-Ma io non ho nulla. Posso soltanto pregare per te, affinchè Iddio ti dia salute e prosperità.-
-Non so che farmi delle tue preghiere. Pagami o non uscirai di qui ed avrai a che fare con me.-
Vedendo l'insistenza ed il cipiglio truce di quell'uomo che non aveva alcuna pietà e comprensione, S. Domenico si rivolse alla sua mula e le disse:
-Giacchè quest'uomo è senza cuore, Giulia, restituisci il ferro.-
Come se avesse pienamente compreso, la mula alzò la zampa ferrata e, stendendola indietro, con uno scatto secco fede cadere il ferro, prodigiosamente staccato dai chiodi, ai piedi del maniscalco. A quello strano prodigio, l'uomo tutto pieno di stupore e di meraviglia, si gettò ai piedi del Santo, chiedendo perdono. Dopo averlo ammonito ad essere più caritatevole con i poveri, S. Domenico lasciò che rimettesse il ferro alla bestia, e riprese il suo viaggio.

Il macigno fermato


San Domenico aveva trovato la pace a Trisulti. Aveva vissuto in eremitaggio per tre anni, finché fu scoperto dagli abitanti del luogo che capirono subito la grandezza del Personaggio. Un angelo ordinò al Santo di edificare un monastero in onore di San Bartolomeo apostolo, così il Santo si mise subito al lavoro. Un giorno, mentre era in corso di edificazione la chiesa, c'erano molti uomini al lavoro. Il diavolo, nemico dell'uomo, distaccò un grande masso che dalla montagna sovrastante stava cadendo irrimediabilmente verso il cantiere. Giunto nelle vicinanze del muro della chiesa, al segno della Croce, fatto dal Santo, il sasso, senza provocare danni alla struttura costruita, si conficcò al suolo e si fissò così forte nel terreno che sembrava che fosse stato sempre lì.

La donna sofferente


Dopo aver edificato il monastero di San Bartolomeo a Trisulti, San Domenico vi compì molti prodigi. Accadde che una nobile donna, che soffriva di un continuo flusso di sangue, dopo aver invano consultato medici di ogni luogo, si presentò al monastero. Alcuni servitori della donna, chiesero dell'acqua al Santo e la portarono dalla malata. La donna era in preda alla malattia; bevve l'acqua con fede e devozione e guarì completamente.

L'ossessa risanata


Alla conclusione del suo lungo mandato di Abate del monastero di S. Bartolomeo d Trisulti, San Domenico pronunciò un discorso presso la chiesa di Santa Maria di Cannavinnano, nei pressi di Collepardo, esortando i fedeli a vita santa. Non aveva ancora concluso l'omelia, quando gli fu portata una indemoniata che morsicava e graffiava se stessa e tutti coloro che le si avvicinavano Nella chiesa gremita, si fece largo lo stuolo dei parenti che trattenevano a stento la donna, ancor più inferocita dal luogo in cui si trovava. Il Santo si turbò e pregò intensamente il Signore, per tre ore, finchè fu esaudito. Si accostò alla donna che si dimenava selvaggiamente e la segnò con la croce di Cristo, dicendo: "Il Figlio Unigenito di Dio, nostro Signore, proprio Lui, si degni di riportarti alla tua primitiva salute".La donna, istantaneamente, riacquistò le sembianze umane.

Il figlio resuscitato


Il cardinale Alberico, monaco di Montecassino e biografo di San Domenico, ha tramandato la notizia che San Domenico, per consolare una donna afflitta, resuscitò il figlio di lei, rendendolo dritto ed aggraziato, da storpio che era alla morte.

Il bimbo febbricitante


In eremitaggio a Prato Cardoso, San Domenico ricevette numerosi malati che invocano l'aiuto di Dio. Un fanciullo di nome Leone, tormentato da una febbre altissima ed incessante, ingurgitò l'acqua utilizzata dal Santo, per lavarsi le mani, fino a dissetarsi. Subito cessò di soffrire e la febbre scomparve.

L'albero caduto


Mentre San Domenico camminava nei pressi di Plataneto [Prato Cardoso], un grosso albero si schiantò d'improvviso e stava cadendo proprio su di lui. Il Santo stese istintivamente il braccio verso il tronco. L'albero si raddrizzò e cadde dalla parte opposta.

I pesci tramutati in serpenti


Quando San Domenico era Abate del monastero di Trisulti, il Preposto di Montecassino, gli inviò due monaci, con un grande quantitativo di pesci. I due monaci, durante il percorso, presi dell'ingordigia, nascosero quattro pesci in un luogo, in mezzo ai sassi, per poterli riprendere al ritorno ed appropriarsene. Giunti al monastero, furono accolti ed ospitati fraternamente. Tre giorni dopo, alla loro partenza, San Domenico li diffidò dall'avvicinarsi ai pesci occultati, annunciandoli tramutati in serpenti. Per evidenziare la mancanza dei due, il Santo li fece accompagnare da altri suoi monaci, muniti del Suo bastone. Quando raggiunsero il posto, i pesci erano realmente divenuti serpenti ma, toccati con il bastone del Santo, ripresero le loro sembianze originarie. I due monaci manigoldi furono ammoniti con dolcezza dal Santo che li educò all'onestà ed alla povertà. Quindi, fecero ritorno a Montecassino.

Il prete cospiratore


Durante il suo soggiorno a Trisulti, San Domenico predicava anche nelle terre vicine. Da tempo, combatteva contro la corruzione del clero. Alcune frange di preti che si erano votati al male, diedero mandato ad uno di loro, affinché uccidesse il Santo. Costui, di nome Amato, studiò il modo di tendere un agguato ed eliminare il monaco. Lo seguì ed attese il momento opportuno, in una località tra Subiaco e Arsoli, denominata Campo Artinace. Il Santo stava recandosi in quei luoghi, per predicare, quando di fermò per un breve riposo. L'attentatore individuò il momento e decise di entrare in azione, spronando il suo cavallo ed imbracciando la lancia. Giunto vicino al Santo, però, divenne immobile e muto. Cadde da cavallo vicino a Domenico. Era stato colpito da Dio. Mentre il Santo lo guardava con pietà, il prete pianse sinceramente. L'uomo di Dio gli disse: "Fratello, ti perdono, convertiti anche tu, non peccare più". Riacquistata la parola ed il movimento, il prete chiese di confessarsi, poi, si ritirò in un eremo, dove visse pentendosi e pregando. Questo accaduto fu di grande impatto nella zona, tanto da contribuire al ritorno ad un comportamento morale ed accostumato.

Il signore prepotente

Nel monastero di Sora, ai tempi in cui San Domenico ne era Abate, giunse un monaco, tale Benedetto Crosso, proveniente dal monastero di San Giacomo. Il monaco era sempre ansioso, perché temeva di essere rintracciato dal suo antico padrone, Siginulfo Credendeo, che lo cercava, per riportarlo, anche contro la sua volontà, al suo servizio. Dopo un periodo di tranquillità, sotto la protezione del Santo, Siginulfo riuscì a risalire all'attuale dimora del suo servo e si recò al monastero di Sora, per riprenderne il possesso. A nulla valsero i consigli e le esortazioni di San Domenico, affinché rinunciasse al suo proposito. L'altezzoso e superbo signore non ascoltò nessuno e, sequestrato il monaco Benedetto, si incamminò sulla via del ritorno. A metà strada, però, lo sprezzante signore non ce la faceva più. Aveva dolori insostenibili alle mani, alle gambe ed al ventre. Non c'era modo di andare avanti. Pensò che forse tutto fosse stato causato dal suo comportamento nei confronti del Santo. La conferma la ebbe quando costatò che se provava a proseguire, i dolori diventavano assolutamente insopportabili. Al contrario, se provava ad incamminarsi per tornare al monastero di Sora, il dolore diveniva sostenibile. Così, decise di ritornare da Sora, giungendovi a fatica. Il Santo lo invitò di nuovo a lasciare in pace Benedetto. Appena obbedì alle parole dell'Abate, Siginulfo fu abbandonato dai dolori e poté tornare a casa.

Il monaco Fulco

Un uomo di nome Fulco, di origine francese, era talmente deforme, che la testa sembrava toccare i piedi ed il petto si univa al bacino. Una notte lasciò la sua casa e si recò al Santuario di San Michele Arcangelo, sul Gargano, pregando Dio affinché lo aiutasse. Dentro il Santuario, per la stanchezza e per la preghiera intensa, cadde addormentato profondamente. Nel sogno, un vecchio gli disse: "Se vuoi guarire, vai a San Domenico". Svegliatosi, fece come gli aveva detto l'uomo in sogno, pensando che si trattasse di un consiglio dal Cielo. Lasciò il Gargano si recò a Sora, nel monastero di San Domenico. Qui, appena giunto, gli si presentarono due anziani che lo afferrarono con grande energia e lo tirarono come un elastico, raddrizzandolo. L'uomo, pensando che erano due banditi che intendevano rapinarlo, urlò disperatamente, richiamando l'attenzione dei monaci che, però, giunti vicino a lui, lo trovarono da solo, perfettamente in piedi, robusto ed in salute. L'uomo divenne un monaco e visse per sempre nel monastero S. Domenico di Sora.

Il vecchio Adamo

Un vecchio di nome Adamo, era affetto da una fastidiosissima ernia strozzata. Ricusato anche dai suoi parenti, perché si rifiutava di essere operato da un chirurgo, si ritirò presso l'eremo di Pietra dell'Imperatore, invocando l'aiuto di San Domenico. Una notte San Domenico gli apparve in sonno, vestito da chirurgo ed accompagnato da un fanciullo che era il suo infermiere. Il vecchio vide che il Santo si avvicinò a lui e gli incise la parte malata. Spaventato l'uomo si svegliò; si rassicurò costatando che si era trattato di un sogno, ma volle ugualmente verificare, toccando la parte ammalata. I dolori non c'erano più e, al posto della parte malata, c'era una lunga cicatrice rimarginata perfettamente. Saltò giù dal letto, pieno di gioia, con l'intenzione di informare gli altri monaci dell'accaduto, e, in quel momento udì: "Sei sanato, Adamo, sei sanato!"

I soldati napoleonici a Sora

Nel 1799, i soldati napoleonici che stavano concludendo la vittoriosa Campagna d'Italia, presero accampamento nella pianura fiancheggiante il fiume Liri, tra Sora ed Isola del Liri, proprio in prossimità del monastero di San Domenico. Pervasi dalle ideologie illuministe della rivoluzione francese, i militari saccheggiarono selvaggiamente il monastero, distruggendo l'antica statua, per farne legna da ardere. Non bastò. Immaginando chissà quali tesori lì custoditi, i francesi pensarono di violare il sepolcro del Santo. Alla prima picconata, però un tremendo boato scosse il suolo e l'aria. Tutti fuggirono tra il panico generale, mentre il fiume, in una improvvisa, immane piena, sommergeva le terre circostanti e neutralizzava la violenza dei napoleonici.





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